Christmas in the Heart

- Natale in casa Dylan (2009) - 


Avete mai sentito dire che il tempismo è tutto nella vita? Oppure che l’uomo saggio aspetta il momento giusto, mentre il pazzo lo anticipa e l’imbecille lo lascia passare? Già, il tempo, uno dei topos dylaniani per eccellenza, se vogliamo. Le feste danno il senso del tempo che passa. Basterebbe solo questo per fornire la motivazione sufficiente a spiegare il progetto Christmas in the Heart.

Per le grandi star le uscite natalizie sono una tradizione fin dagli albori dell’industria discografica. Ora è bene specificare come alcuni degli eroi di gioventù di Dylan, fecero album natalizi. Ci sono esempi importanti che hanno contribuito a consolidare la carriera artistica di alcuni cantanti, e non ci stiamo riferendo ai classici cantanti etichettati come artisti natalizi, che oggi purtroppo sono diventati un problema sonoro durante il periodo che anticipa la natività del Cristo. In questo caso però parliamo di un disco di tradizione cristiana, realizzato da un artista ebreo come Bob Dylan. L’intento è nobile, visto che gli incassi sono destinati in beneficenza in favore delle associazioni Feeding America e del World Food Programme delle Nazioni Unite. Il capitolo che riguarda la generosità e l’impegno sociale dell’artista sarebbe da trattare in separata sede, visto che probabilmente si tratta di uno dei musicisti che hanno sempre messo davanti al proprio ego, cause nobili. Senza elencarli tutti, diciamo solo che Bob Dylan è stato uno degli artisti più longevi e socialmente impegnati di sempre. Tuttavia il disco va contestualizzato a livello critico, come il primo di quella che sarebbe divenuta una nuova fase di riscoperta e rivalutazione di materiale non autografo pubblicato dal cantautore.

Tra il 1992 e il 2017 pubblica infatti 6 lavori in studio basati su cover, riproposizioni e brani tradizionali. Christmas in the Heart è il sequel di Together Through Life, pubblicato appena sei mesi prima, durante la primavera del 2009. Motivo per cui venne realizzato nello stesso modo in cui aveva inciso gli album precedenti. Qui troviamo la sua band che lo accompagna anche dal vivo, con l’aggiunta di David Hidalgo dei Los Lobos, del pianista Patrick Warren e di un coro che lo segue nelle tracce presenti in questo lavoro. Piuttosto che volgere tipici brani natalizi in una forma peculiare, Dylan li suonò in modo diretto. Il risultato fu sorprendente, quanto scioccante. Un abbraccio a tutto campo a quella vecchia e tranquillizzante America, un omaggio ai dischi natalizi che profuma di anni Cinquanta, dell’atmosfera in cui Dylan è cresciuto.

Restituisce tutto in modo diretto, rilevando un’anima pop insospettabile, ed è magicamente suonato, prodotto e arrangiato. Un piccolo gioiello da scartare sotto l'albero. Non sorprende per chi aveva compreso e mandato a memoria ciò che Dylan porta avanti dal 1997 con Time Out of Mind e in misura maggiore con “Love and Theft” e Modern Times. Qui però c’è pochissimo blues ed è quasi del tutto assente lo stile roadhouse, ma non è detto che questo sia un male, anzi. Col senno di poi è una dichiarazione di intenti che pubblico e critica faranno fatica a capire.  

Dopo la pubblicazione dei dischi Great American Songbook (quelli della Fase Sinatra, per intenderci) diventa più semplice analizzare il percorso del Dylan anni Novanta che si affacciava al nuovo millennio. Oggi l’hype è dovuto principalmente al fatto che da dopo Tempest si attende la pubblicazione del suo ultimo, conclusivo disco in studio. Ci hanno provato già ad azzardare che lo fosse Tempest, così come sono state fatte parecchie illazioni quando è arrivata la cinquina sinatriana. Stessa cosa era capitata durante il lockdown, quando a sorpresa l’artista rilasciava sulle piattaforme una lunga dissertazione poetica, che sembra una meditata replica di American Pie di Don McLean. Il brano Murder Most Foul, dalla durata insolita e importante, è stato l’apripista del suo ultimo disco in studio: Rough and Rowdy Ways, pubblicato nel 2020.

Sottostimato e considerato un lavoro bizzarro, Christmas in the Heart ha dalla sua un cambio radicale nell’approccio sonoro, ma soprattutto nel cantato. Oltre a essere decisamente pop, ha delle qualità insite del folk, visto che dopo Time Out of Mind e “Love and Theft” dove le voci erano dominanti, qui avviene una svolta. È un lavoro disadorno, capace di mettere al centro il fraseggio e l’esecuzione. Suona maledettamente bene ed è a fuoco, tanto che ci sarà chi lo elogerà come un disco importante, proprio sotto il profilo sonoro e dell’esecuzione.

Da qui in poi Bob Dylan rilascerà album forse poco noti e con un appeal inferiore, ma suonati e cantati in modo impeccabile, con arrangiamenti raffinati e piuttosto lontani da quello che aveva realizzato in studio, durante i primi vent’anni di produzione musicale. Quasi nessuno se ne accorge e sono pochi i critici che mettono in evidenza tale aspetto. L’artista durante gli anni avrà anche perso la voce, ma ha imparato a cantare, a trovare nuove strade per accompagnare le sue canzoni e l’esecuzione di materiale altrui. Piaccia o meno, quello che ha prodotto da questo punto in avanti è realizzato in modo professionale, con arrangiamenti minimali, per certi versi originali e innovativi. In pratica uno dei paladini del low-fi ha iniziato a produrre con maggior criterio e ricchezza di mezzi. Non sono dischi per chi ama i Pink Floyd forse, ma di strada rispetto agli anni Sessanta ne è stata battuta, e nemmeno poca. Il percorso discografico di Dylan proseguirà senza sosta, ma questo disco natalizio è stato molto più importante rispetto a quanto la critica e il pubblico vogliano farci credere. Riascoltare per credere Christmas in the Heart.

Dario Greco     

 


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