A proposito di New Morning


Nel 1970 la produzione discografica di Bob Dylan vive una cruciale fase di transizione quando il cantautore americano, discostandosi dai toni epici, che ne avevano caratterizzato fin qui il percorso, abbraccia un sound più intimo e rilassato. Gli album Self Portrait e New Morning, insieme all'uscita antologica di The Bootleg Series Vol. 10: Another Self Portrait, offrono uno spaccato di questo periodo di sperimentazione, ricerca e cambio di rotta. Si tratta di un punto di svolta determinante, in cui l'autore di Blowin' in the Wind rielabora il proprio linguaggio musicale e tematico, rispecchiando un' evoluzione personale che si rifletterà tramite il mutamento del panorama musicale dell'epoca.

Il contesto musicale del momento

L'uscita di Self Portrait aveva fatto scendere le azioni critiche di Dylan a un negativo stabile. New Morning venne accolto invece come un ritorno alla forma, facendolo rientrare tra le grazie della critica e del pubblico che era rimasto spiazzato dopo Self Portrait. Le recensioni dell'epoca riflettevano la reazione positiva dei critici al disco, unite al sollievo per il fatto di non trovarsi di fronte a un Self Portrait volume due. Su Rolling Stone il critico Ralph J. Gleason lo acclamava come la migliore novità arrivata dal cielo e uscita dalla terra, da non so dire quando. La voce di Dylan è tornata alla chiarezza di John Wesley Harding: niente baritoni country artefatti, qui, per nostra fortuna! Il disco entrò nella top ten e ottenne la miglior performance in Inghilterra, dove conquistò il primo posto. Ciò nonostante, anche se il disco sembrava annunciare una sorta di ritorno all'impegno, Dylan fece il minimo sindacale per capitalizzare le sue buone intenzioni, con qualche sporadica apparizione tra il 1971 e il 1972. Fatto anche più importante è che questo sarà il suo ultimo lavoro fino al 1973, un dato senza precedenti, se paragonato ai primi intensi anni di attività discografica. Dylan infatti tra il 1962 e il 1966, aveva pubblicato ben sette lp, di cui uno (Blonde On Blonde) doppio.

Self Portrait: tra disillusione e incredulità 

Il 1970 è un anno cruciale per Bob Dylan, che si colloca tra l’incidente motociclistico del 1966 e la rinascita artistica dei dischi successivi. Segnerà di fatto la fine di un capitolo, quello della rivoluzione musicale anni Sessanta, per dar vita a qualcosa di nuovo, inaspettato, spesso incomprensibile per i suoi fan e per la critica. Quando Self Portrait e New Morning vengono pubblicati, Bob Dylan sembra essere un artista che si trova, per la prima volta da molto tempo, senza una direzione chiara, ma disposto a mettersi a nudo, a esplorare nuove possibilità, nonostante il rischio di perdersi in un mare di incertezze. Oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, questo non è solo un periodo che ha visto Dylan sperimentare con la sua musica, ma un momento che ha segnato la genesi di un cambiamento che avrebbe continuato a mutare il corso della musica popolare contemporanea. Quando "Self Portrait" viene pubblicato nel giugno del 1970, è un colpo di scena totale, epico, in senso quasi completamente negativo. I fan di Bob Dylan, che lo avevano seguito in un leggendario viaggio che li aveva condotti attraverso il folk, il rock, e la cultura popolare degli anni '60, si trovarono disorientati di fronte a un album che sembrava in totale contrasto con la sua eredità. In poche parole: una baraonda confusa, a tratti infausta

Le canzoni di Self Portrait erano a tratti estranee, a tratti irriverenti, e questo tradiva un distacco radicale dalla grandiosità dei suoi lavori precedenti, come Blonde on Blonde o Highway 61 Revisited. L’album sembrava quasi una presa in giro, un atto di disillusione verso una musica che lui stesso aveva contribuito a rendere sacra. All the Tired Horses non è solo una canzone di apertura, è una dichiarazione di intenti. Con un arrangiamento corale che fa da sfondo alla voce di Dylan, il brano sembra dirci che l’autore non ha più intenzione di porsi come il profeta che parlava al popolo. Eppure, dietro questa apparente disillusione, si intravede un calore che ci parla di un uomo alla ricerca della propria identità, senza le certezze che un tempo lo avevano contraddistinto. È un gioco di maschere, una riflessione sulla natura dell’artista e sulla sua lotta interiore per trovare un posto nel mondo che sembra più incline a smantellare le certezze che ad offrire risposte. Nonostante la generosa durata del doppio lp, il lavoro presenta soltanto quattro brani inediti autografi, di questi solo Living the Blues e Minstrel Boy hanno un testo che viene cantato da Dylan, dato che All the Tired Horses è affidato alle coriste Hilda Harris, Albertine Robinson e Maeretha Stewart, mentre Wigwam presenta un coro privo di testo. Il resto, per un totale di ventiquattro tracce, è un collage di cover, brani tradizionali e versioni live di pezzi già conosciuti come Like a Rolling Stone e She Belongs to Me. La scelta di includere "The Mighty Quinn (Quinn the Eskimo)" in un album come "Self Portrait" può sembrare una mossa commerciale, ma per Dylan rappresenta un gesto di rifiuto delle aspettative. Non è più il rivoluzionario che esprime la sua verità in maniera diretta e affilata; ora è un maestro di dissimulazione, un uomo che gioca con la propria immagine e con la musica stessa, come se stesse dicendo "Ecco, prendete quello che volete da me, ma non venite a cercare in me ciò che non sono più". L’album è una provocazione. A volte risulta frustrante, talvolta incomprensibile, ma è proprio questo che ne fa un’opera, a suo modo unica, forse addirittura di una certa rilevanza all'interno della discografia dylaniana. Non è un disco da cui attendersi coerenza o linearità. È un caos che riflette lo stato d’animo di un uomo che ha deciso di sottrarsi al suo stesso mito e alla narrazione imposta dal mondo circostante. Dylan sta cercando di liberarsi dai vincoli di un’immagine che non è più sua, e lo fa nel modo più radicale possibile: scardinando la musica stessa. Per chi volesse approfondire troverà qui il pezzo monografico dedicato al doppio lp. 

New Morning: il ritorno alla luce senza veli

Ed ecco giungere il momento di New Morning. E qui, la sorpresa continua, ma in modo completamente diverso. Se Self Portrait era un disco di distacco e confusione, New Morning è un’onda di luce che sorge dalle ceneri della disillusione. Ma c’è di più: New Morning è un album che segna la fine di un periodo e l’inizio di una nuova era, non solo per Dylan, ma anche per la musica stessa. Nel capitolo di Chronicles Volume One, Dylan ricorda la realizzazione di New Morning come un momento di introspezione personale, dove il processo creativo non era più solo un atto di composizione musicale, ma anche una riflessione sul suo ruolo di uomo, di padre e di artista. Dopo il tumulto degli anni '60, con la sua vita privata sotto i riflettori e la continua pressione di essere visto come il messia di una generazione, Dylan si rifugia nella semplicità, nella tranquillità, ma senza cadere nella trappola della rassegnazione. New Morning è un disco che suona come una rivelazione, ma non in senso mistico; piuttosto come una ricerca di significato nella routine quotidiana, nel conforto di una vita familiare che gli permette di trovare un senso più autentico e profondo della propria esistenza. L'ispirazione del disco proviene dall'incontro di Dylan con il poeta e commediografo Archibald MacLeish, il quale aveva commissionato al cantautore di occuparsi delle canzoni per il suo nuovo spettacolo, Scratch (Rogna) una satira contemporanea basata sulla rilettura in chiave ironica del mito di Faust. Patto col diavolo, che come saprete, alcuni anni dopo sarà associato proprio alla capacità di Bob Dylan di comporre e suonare la chitarra, seguendo la leggendaria vicenda del chitarrista blues Robert Johnson. Eric Clapton dedicherà uno dei suoi più celebri lavori, Crossroads (crocevia, bivio) a questo mito popolare che si tramanda di generazione in generazione, da Muddy Waters fino ad arrivare al compianto Stevie Ray Vaughan. Dylan compose per l'opera di MacLeish, tre brani: Time Passes Slowly, Father of Night e la futura title track, New Morning. Il commediografo però aveva ingaggiato Dylan sperando portasse in dote al progetto qualcosa di simile a quanto avesse scritto e realizzato tra il 1962 e il 1966. Tuttavia il contenuto del brano Father of Night, mise i due artisti di fronte a una scomoda verità: non vi era alcuna unità di intenti, visto che Dylan si trovava in una fase pacifica e contemplativa, mentre MacLeish voleva mettere in scena un'opera allegorica sull'America che stava bruciando e mandando al macello i suoi giovani in Vietnam. Di comune accordo i due decisero perciò di interrompere la loro collaborazione. Proprio da questo fallimento arriverà il disco della rinascita e del ritorno alla scrittura di Dylan.

Da un punto di vista strettamente musicale il disco è stato realizzato da session men di alto profilo. Citiamo almeno il sodale Al Kooper, che qui suona un po' di tutto e dirige anche le registrazioni, pur non essendo accreditato per questo ruolo. Oltre al poliedrico e geniale tastierista, meritano almeno una citazione i chitarristi David Bromberg, Ron Cornelius e Buzzy Feiten, così come altri strumentisti come Charlie Daniels e Harvey Brooks, che aveva preso parte alle incisioni di Highway 61 Revisited. Da annotare poi le voci femminili: Albertine Robinson e Maeretha Stewart. Si torna a incidere nei Columbia Studios di New York, dove per l'ultima volta la baracca viene tenuta in piedi dal sempre poco citato e ricordato Bob Johnston. Per chi volesse approfondire ne abbiamo parlato qui.   

New Morning, track by track

La canzone Sign on the Window è forse il brano che meglio cattura questa nuova visione. Il testo, che descrive immagini evocative di una vita più semplice e più genuina, sembra parlare di un uomo che ha trovato la pace, ma che è consapevole che questa pace non è mai definitiva. La malinconia che traspare dal brano è il segno di un uomo che guarda indietro, ma con una consapevolezza più matura e accettante. Sign on the Window è la traccia che segna il passaggio dall’incertezza alla consapevolezza, dal caos alla luce. Un brano che descrive perfettamente il momento che il suo autore sta vivendo e attraversando. Ispirato in parte la ballata tradizionale The Cuckoo, eseguita da Dylan in Live at the Gaslight 1962. 

Un altro pezzo degno di attenzione è senza dubbio The Man in Me. Questa canzone, che ha una melodia leggera e spensierata, ispirata al brano On the Street Where You Live, dal musical My Fair Lady, è un inno al piacere della vita e alla sua bellezza nelle piccole cose e godrà di una meritata seconda vita grazie al fatto che sarà inclusa nella sequenza dei titoli di testa del film di Joel Coen, Il grande Lebowski. Tuttavia dietro una sua apparente semplicità, The Man in Me cela un messaggio profondo che abbraccia la complessità dell’essere umano, non siamo mai solo quello che sembriamo. E forse è proprio in questa ambiguità che sta la chiave del successo di New Morning, un disco che non cerca di rispondere a tutto, ma ci esorta a vivere senza certezze attraverso la ricerca della serenità e della pace interiore. Come una sorta di asilo perpetuo. Non a caso questo è il disco più vicino alla santità ubriaca dei Beat e di autori come Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti e Jack Kerouac.

"If Dogs Run Free": l’omaggio dylaniano alla Beat Generation

La traccia più sorprendentemente insolita, anomala presente in New Morning è "If Dogs Run Free". Il brano è una vera e propria esplorazione jazzistica, con un arrangiamento che sembra provenire da un altro mondo. L’influenza di Jack Kerouac e Lawrence Ferlinghetti (A Coney Island of the Mind) è palpabile. La musicalità di questa canzone è fluida, instabile, come il flusso di coscienza tipico dei poeti beat. Qui possiamo ascoltare un inedito Dylan svincolato da certi schemi strettamente folk-rock, il quale tenta di abbracciare una forma di espressione musicale più libera, più vicina all’improvvisazione. Simile al jazz tanto amato e declamato da Kerouac, soprattutto nelle sue poesie. C’è qualcosa di profondamente affascinante in questo brano: Dylan, come un alchimista della parola e della musica, mescola linguaggi e generi, creando una sorta di collasso di stili che non può essere facilmente definito. È un brano che sembra non voler aderire a nessuna forma predefinita, eppure funziona alla perfezione. In "If Dogs Run Free", Dylan non è solo il cantautore che scrive canzoni, è un vero e proprio artigiano della musica che si lascia guidare dall’istinto, come i beatnik lasciavano che la loro scrittura venisse dettata dalla spontaneità.

Elvis o la fenomenologia del mito

Un altro momento significativo di New Morning è "Went to See the Gypsy", un omaggio a Elvis Presley. Se Elvis è il Re, Dylan è il suo discepolo che cerca di coglierne l’essenza senza mai volerlo imitare. Il brano è una riflessione sul culto delle personalità, sull’iconografia della star e sulla ricerca di un contatto con il divino attraverso la musica. Dylan non è mai stato un semplice fan di Elvis, ma in questa canzone sembra esplorare, quasi con una sorta di reverenza ironica, il mito che il cantante ha creato intorno a sé. È un omaggio che non è affatto passivo, ma che riflette lo spirito ribelle e le sue contraddizioni. Possiamo affermare che, sebbene Dylan abbia più volte citato come guida artisti come Hank Williams, Buddy Holly o a inizio carriera Woody Guthrie, in termini di presenza scenica, di senso degli affari e di longevità artistica, Elvis è stato un punto di riferimento cardinale per la generazione a cui Bob Dylan appartiene. 

La critica a proposito di New Morning

New Morning è un disco per certi versi gemello di The Basement Tapes, raccolta che sebbene sarà pubblicata nel 1975 contiene brani incisi da Dylan con l'accompagnamento di The Band nel periodo 1967-1968. Si possono in qualche modo accostare per via di una esplorazione di stili musicali diversi e della semplicità della musica tradizionale. Tutto suona come deve suonare, in modo piuttosto diretto, sobrio e naturale. Per il critico Robert Christgau John Wesley Harding, Nashville Skyline, New Morning e il successivo Planet Waves del 1974 fanno parte dello stesso contesto-filone sonoro. Sono infatti album che contengono brani piuttosto brevi, molti dei quali hanno una sensibilità pop, un'aura, nella loro compressione e semplicità apparente. New Morning è del lotto il più accessibile e diretto. Uno degli aspetti più interessanti secondo la scrittrice Coleen Sheehy è l'immersione di Dylan nella natura. Tutti i riferimenti agli uccellini, ai pesci, alle stagioni, alle montagne e ai fiumi; questa semplicità dei testi, unita all'enfasi sulla natura sono elementi forti, che caratterizzano il genere country che Dylan aveva esplorato e setacciato in quel periodo. In più bisogna riconoscere un legame con l'opera di  Henry David Thoreau, Walden. 

Il legame tra New Morning di Dylan e Moondance di Van Morrison

Nello stesso periodo, vivendo a pochi chilometri di distanza, il collega Van Morrison scriveva le canzoni che sarebbero poi finite su Moondance e His Band and Street Choir. Tracciare un parallelo tra questi lavori e New Morning di Dylan è un'ipotesi affascinante che nei prossimi tempi potrei decidere di approfondire, visti i legami evidenti tra i due cantautori e The Band, senza dimenticare un altro comune denominatore, assieme a Thoreau, che risponde al nome del già citato Jack Kerouac. Non solo, volendo soffermarsi sulla produzione morrisoniana, possiamo vedere come questo disco possa reputarsi in qualche modo responsabile e affine rispetto ad album come Tupelo Honey (1971), Common One (1980), No Guru, no Method, no Teacher (1986) ma soprattutto Hymns to the Silence (1991). If Not for You, brano che apre New Morning, è stato registrato in più versioni, una delle quali con l'amico George Harrison. Sempre Harrison inciderà la sua versione della canzone che troverà spazio sull'album All Things Must Pass del 1970.

Siamo di fronte a una nuova era dylaniana?

Alla fine del 1970, Bob Dylan non è più l’artista che il mondo pensava di conoscere. Il suo cammino lo ha portato a esplorare territori musicali e emotivi che mai avrebbe immaginato. Self Portrait e New Morning sono album che non solo segnano un distacco dalle sue radici, ma indicano anche una nuova strada, quella di un uomo che ha capito che la sua arte è sempre stata in movimento. Non ci sono risposte facili nei dischi di Dylan del 1970, ma c’è qualcosa di più potente: la possibilità di essere più autentico, più sincero con sé stesso e con il suo pubblico. E forse, se non ci fosse stato "New Morning", non avremmo mai visto la nascita di dischi come Planet Waves o Blood on the Tracks, che avrebbero segnato un’altra fase, ancora più profonda, della sua straordinaria carriera.

Il 1970 è stato un anno di transizione, ma anche di rinascita. Dylan non solo ha abbandonato le sue certezze precedenti, ma ha anche gettato le basi per il futuro, per un viaggio che avrebbe continuato a cambiare non solo lui, ma l’intero panorama musicale mondiale. E per questo, New Morning e "Self Portrait" sono dischi da non sottovalutare. Sono la chiave di volta che ha aperto la porta a un Dylan che avrebbe continuato a sorprendere il mondo per decenni.

Dario Greco


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