I chitarristi utilizzati da Dylan - Prima Parte

Chitarristi dylaniani – Prima parte (1965-1983)

Se per la prima parte della produzione in studio Dylan suona tutte le parti di chitarra e di armonica da solo, le cose erano cambiate in modo evidente già a partire dal primo approccio elettro-acustico costituito da Bringing It All Back Home. Presero parte alle sessions del quinto lavoro discografico diversi musicisti, tra cui il valido chitarrista Bruce Langhorne, il quale si fregia del fatto di essere stato anche il primo chitarrista a suonare con Dylan in elettrico per il brano Mixed-Up Confusion, pubblicato su Biograph nel 1985. A distanza di pochi mesi rispetto al primo disco elettrico, Highway 61 Revisited è un album che si spinge ancora oltre, in termini di produzione sonora e di arrangiamenti. Fatta esclusione per la lunga ballata acustica Desolation Row, tutti gli otto brani vengono eseguiti da una band piuttosto eterogenea dove spicca la chitarra elettrica blues di Mike Bloomfield. Il talento di Bloomfield tuttavia non contribuirà alla realizzazione del disco successivo. Su Blonde on Blonde infatti troviamo un nuovo gruppo di musicisti, dove sarà riconfermato l’organista (e chitarrista) Al Kooper. Tra i tanti chitarristi accreditati, possiamo sentire il suono di Robbie Robertson, il quale contribuisce a irrobustire le canzoni di questo doppio lp. Alle sessioni prendono parte anche altri chitarristi come Charlie McCoy, Joe South e Wayne Moss. Arriviamo così a John Wesley Harding del 1967 dove Dylan utilizza stavolta Pete Drake, presente con la sua pedal steel guitar. Il primo decennio di incisioni viene concluso con Nashville Skyline dove prendono parte ancora una volta Pete Drake e Charlie McCoy, a cui si aggiungono Norman Blake, Bob Wootton, Charlie Daniels e Fred Carter Jr. Vale la pena citarli tutti, per una questione di completezza e anche perché il disco, nono in otto anni, è davvero un esempio di quanto Dylan sia attento al suono delle chitarre nei suoi lavori.

Il decennio 1970-1979 si apre con un disco che è tra i più criticati della produzione dylaniana; si tratta del vituperato Self Portrait. Ascoltato a distanza di oltre 50 anni appare come un prodotto non eccelso, ma con momenti più che validi, sicuramente significativi e da rivalutare. Prosegue la collaborazione con musicisti di livello eccelso, ma per essere concisi passiamo ora al 1974. Dylan dopo essere tornato a esibirsi dal vivo con The Band, gruppo che lo ha accompagnato anche in studio per la registrazione di Planet Waves, si mette al lavoro su quello che verrà considerato uno dei suoni migliori dischi di sempre: Blood on the Tracks. Composizioni a parte, che sono di livello eccelso, l’album si fregia della collaborazione di alcuni validissimi musicisti, come Eric Weissberg, conosciuto al grande pubblico per la colonna sonora del film Deliverance di John Boorman del 1972. Nel successivo Desire partecipa alle sessions Eric Clapton, accreditato per il suo contributo nel brano Romance in Durango. Clapton tornerà a collaborare con Dylan, ma principalmente durante le esibizioni dal vivo, di cui ricordiamo alcune date al Madison Square Garden durante l’estate 1999. Con il successivo Street-Legal del 1978 Dylan esplora un nuovo contesto sonoro, dove sono presenti cori femminili e fiati. Alla chitarra troviamo qui Billy Cross e Steven Soles, chitarrista con un importante bagaglio di collaborazioni come quelle con Roy Orbison, Elton John, Elvis Costello e John Mellencamp. Soles oltre a partecipare alle registrazioni di Street-Legal ha suonato dal vivo con Dylan durante il periodo 1975-1978. 

Giungiamo adesso a quella che è stata una delle più importanti collaborazioni per Bob Dylan, quella con il produttore, chitarrista, cantante e compositore Mark Knopfler. Il sodalizio tra i due parte con le registrazioni di quello che è considerato tra i dischi meglio prodotti del cantautore americano: Slow Train Coming. Il merito è da dividere in parti uguali tra i due produttori Barry Beckett e Jerry Wexler, il gruppo che partecipa alle incisioni e lo stesso Dylan, che si lascia consigliare e guidare per la realizzazione di un lavoro tra i più ispirati e intensi, a livello musicale. Alla batteria prende posto Pick Withers dei Dire Straits, mentre il basso è suonato da Tim Drummond che parteciperà anche al tour e al disco successivo, Saved. La chitarra di Knopfler è presente e udibile già dall’attacco di quello che sarà oltre che la traccia numero uno del disco, anche uno dei singoli di maggior successo del periodo per Dylan: Gotta Serve Somebody. Il brano vincerà l’anno successivo il Grammy come miglior performance Rock maschile. La cosa più importante è che ancora oggi a distanza di oltre quarant’anni, la traccia e il disco intero, suonano in modo impeccabile, potente e con alcune dinamiche piuttosto rare nella produzione discografica dylaniana. Il sequel Saved, realizzato nel 1980 vede alla chitarra Fred Tackett, come del resto nel successivo Shot of Love del 1981, dove Tackett è affiancato da Danny Kortchmar, Steve Ripley e da Ronnie Wood dei Rolling Stones. Il chitarrista inglese il cui nome è legato oltre che al sodalizio con gli Stones con Jeff Beck e coi Faces di Rod Stewart, ha imbracciato il proprio strumento altre due volte per Dylan. Lo troviamo infatti accreditato su Knocked Out Loaded e su Down in the Groove, nonché nel film Heart Of Fire. Parteciperà anche all’evento The 30th Anniversary Concert Celebration di Dylan con il brano Seven Days.

Nel 1983 Dylan richiama Mark Knopfler e gli affida la produzione del suo nuovo lavoro in studio: Infidels. Oltre a Knopfler qui troviamo alla chitarra elettrica un altro Stones, stavolta un ex membro, Mick Taylor. Taylor farà parte della band di studio completata da Alan Clark alle tastiere e da Sly Dunbar e Robbie Shakespeare alla batteria e al basso elettrico. Il disco è considerato in modo altalenante tra chi lo elogia, reputandolo il miglior lavoro in studio dai tempi di Blood on the Tracks e chi invece gli contesta un suono troppo alla moda e lontano da quello che ci si attende da un album di Dylan. In effetti il vero motivo per cui il disco potrebbe essere criticato è un altro. L’esclusione di pezzi come Someone’s Got A Hold Of My Heart, Lord Protect My Child e soprattutto Foot of Pride e Blind Willie McTell. In questo disco, qualunque sia la versione ascoltata (oggi troviamo tutte le canzoni nel volume 16 del Bootleg Series: Springtime in New York (2021), possiamo ascoltare i fraseggi, i riff e i lick di due tra i migliori chitarristi della loro generazione: Mark Knopfler e Mick Taylor. Dylan continuerà a sperimentare nuove cose e successivamente instaurerà un rapporto duraturo anche con Mike Campbell degli Heartbreakers di Tom Petty. Di lui vi abbiamo già parlato nel post dedicato al sodalizio artistico tra Dylan, George Harrison e Tom Petty.     

(Continua)    

Dario Greco



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