Il sodalizio artistico tra Dylan, Harrison, Petty, Orbison & Lynne
“L’epoca in cui ogni mio concerto era occasione di grandi sommovimenti aveva già subìto una brusca frenata, ormai si era fermata. Troppe volte mi ero dato la zappa sui piedi. Bisogna saper onorare gli impegni, non sprecare il proprio tempo e quello degli altri. Non era sparito dalla scena, ma la strada si era ristretta, si era quasi interrotta e invece avrebbe dovuto essere ben larga. Dentro di me c’era una persona scomparsa che dovevo ritrovare. In natura c’è un rimedio per tutto ed era lì che di solito andavo a cercare il mio. Magari mi ritiravo su una casa galleggiante, sperando di sentire un’antica voce, avanzando lentamente l’imbarcazione tirava a riva su una spiaggia riparata, di notte, in mezzo alla natura, popolata da alci, orsi e cervi tutto attorno a me. Non molto distante avvertivo la presenza di un lupo grigio, quiete sere d’estate ad ascoltare il richiamo della strolaga. Mi sentivo finito, un rottame vuoto, consumato. Dovunque io sia, sono un trovatore degli anni settanta, un relitto del folk-rock, un fabbro di parole dei tempi andati, il falso capo di stato di una nazione che nessuno conosce. Finito nel pozzo senza fondo dell’oblio culturale.” (Bob Dylan, Chronicles Volume One)
C’è un
momento in cui bisogna essere obiettivi: i colorati e frivoli anni ottanta
raramente sono stati un periodo felice per Bob Dylan. Specialmente a partire
dal 1985 il cantautore americano è apparso un po’ opaco e fuori forma, rispetto
ai suoi elevatissimi standard. Tuttavia dopo la pubblicazione di Down in the Groove, album che merita ugualmente una
rivalutazione critica e una contestualizzazione differente, Dylan torna a
produrre dischi capaci di intercettare e di coinvolgere nuovamente il suo
network, facendo addirittura gridare al miracolo e al capolavoro. Si tratta di
Oh, Mercy, prodotto da Daniel Lanois e pubblicato il 18 settembre 1989. Che
cosa aveva riportato il cantautore sulla retta via dell’ispirazione come non
avveniva da tempo?
Le risposte
possono essere molte. Formalmente Dylan apre quello che in seguito sarà
chiamato NET, Never Ending Tour il 7 giugno 1988. Appena un anno prima si era
unito ai Grateful Dead per un breve tour, di cui possiamo ascoltare il live
ufficiale Dylan & The Dead, pubblicato a febbraio del 1989, mentre facendo
un ulteriore passo indietro si torna al 1986, anno del True Confessions Tour
con Tom Petty and The Heartbreakers. L’esperienza dal vivo con The
Heartbreakers come backing band si concluderà l’anno seguente con il Temples in
Flames Tour. Tra un tour e l’altro Dylan diede alle stampe Knocked Out Loaded e
il già citato Down on the Groove. Knocked Out Loaded segue per certi versi il
più meritevole Empire Burlesque, album del 1985 che vede tra i musicisti
impiegati alcuni elementi degli Heartbreakers come Howie Epstein, Mike Campbell
e Benmont Tench. Il tastierista di Tom Petty aveva iniziato la collaborazione
con Dylan già con Shot of Love del 1981 e in seguito prenderà parte anche alle
sessions di Rough and Rowdy Ways, 39esimo lavoro in studio pubblicato lo scorso
2020. Anche Mike Campbell prenderà parte a un disco di Bob Dylan come unico
elemento degli Heartbreakers. Sono sue le chitarre che caratterizzeranno un
disco solido e coeso come Together Through Life, 33eesima prova in studio del
cantautore americano.
Avevo
fatto diciotto mesi di tournée con Tom Petty and The Heartbreakers, che sarebbe
stata l’ultima. Mi sentivo tagliato fuori da ogni forma di ispirazione. Tom
stava dando il meglio di sé e io stavo dando il peggio. Non riuscivo a superare
gli ostacoli, tutto era pezzi. Il mio momento era passato. Adesso con Petty si
trattava di arrivare alla fine del mese, dopo di che avrei detto basta. Ero
ormai sulla china discendente e se non ci stavo attento rischiavo di ritrovarmi
a gridare al muro, pieno di furia e con la bava alla bocca. Lo specchio aveva
fatto un giro su stesso grazie al quale vedevo nel mio futuro: un vecchio
attore che rovista nei bidoni della spazzatura fuori dal teatro dove un tempo
aveva trionfato. Avevo scritto e inciso tantissime canzoni, ma non ne suonavo
molte. Mantenevo le apparenze, ma per quanto mi sforzassi, i motori non si
mettevano in moto. Benmont Tench, uno dei musicisti della band di Tom Petty, mi
chiedeva sempre di inserire diversi pezzi nello spettacolo, ma io tiravo fuori
qualche povera scusa per non provarle. Dopo essermi affidato così tanto
all’istinto, questo si era trasformato in un avvoltoio che mi stava lentamente
dissanguando. Anche la spontaneità era diventata una capra pazza. I miei covoni
non erano stati legati tanto bene al suolo e io cominciavo ad avere paura del
vento. La tournée era divisa in parti e durante uno dei tempi morti Elliott
Roberts mi aveva trovato dei concerti con i Grateful Dead. (Bob Dylan, Chronicles Volume One)
La
collaborazione tra Dylan e Tom Petty (band inclusa) caratterizza la seconda
parte degli anni ottanta. Insieme i due scrivono Jammin’ Me e Got My Mind Made
Up che finiranno rispettivamente su Let Me Up (I’ve Had Enough) e su Knocked
Out Loaded. Ora senza nulla togliere ai brani scritti in collaborazione, è
indubbio che il meglio di questo featuring venne realizzato attraverso le
esibizioni live del 1986 e del 1987. Per nostra fortuna però il caso vorrà che
le strade di Bob Dylan e di Tom Petty si incroceranno ancora, anche se mancherà
l’apporto degli Heartbreakers.
Traveling
Wilburys Project
Leggenda
vuole che fu per caso o se preferite, per un semplice scherzo del destino, che
Bob Dylan e Tom Petty tornassero a collaborare a distanza di poco tempo. Stiamo
parlando del supergruppo musicale composto oltre che da Dylan e Petty da star
del calibro di Roy Orbison, George Harrison e Jeff Lynne.
Il risultato di questa insolita crew segnerà un gioioso momento artistico,
testimonianza importante a livello storico, visto che dopo poco tempo Roy
Orbison sarebbe venuto a mancare il 6 dicembre 1988. La mitologia del rock
vuole che ci sia una genesi curiosa attorno alla formazione di questo progetto
musicale. Harrison, dopo una cena invitò Lynne e Orbison ad una sessione per la
registrazione di un brano che doveva servire da lato B per un suo disco singolo
(This is Love). Per la registrazione pensarono di chiamare Bob Dylan che
sapevano avere uno studio di registrazione, il Santa Monica California Studio.
Il giorno seguente Harrison, recandosi da Dylan per registrare, dovette passare
da Petty a recuperare una sua chitarra dimenticata lì e in tale occasione gli
propose di unirsi alla combriccola per una suonata. Harrison definisce questi
eventi come frutto di una magia. In effetti i cinque musicisti avevano
stabilito in quel periodo un legame evidente, visto che lo stesso Lynne aveva
prodotto Cloud Nine di Harrison e in seguito avrebbe registrato con Petty due
album di grande successo (Full Moon Fever e Into the Great Wide Open).
(Continua)
Dario Greco
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