Il legame tra il cinema di Joel ed Ethan Coen e Dylan Pt. 2
Il legame tra il cinema di Joel ed Ethan Coen e Bob Dylan - Seconda parte.
Un giovane inizia a strimpellare gli accordi di apertura di "Hang Me, Oh Hang Me", una struggente canzone che, come la maggior parte delle canzoni popolari, è elencata come "tradizionale".
Il Gaslight
Cafe era una caffetteria situata nel Greenwich Village a New York City al
numero 116 di MacDougal Street. Conosciuta anche con il nome "The Village
Gaslight", aprì i battenti nel 1958 e divenne un locale storico per la
diffusione della musica folk, dove mosse i primi passi, tra gli altri, anche un
giovane Bob Dylan. Nacque come "basket house" dove gli artisti si
esibivano senza essere pagati rimettendosi alle generosità degli avventori tra
i quali passavano a fine esibizione sperando di ricevere un'offerta. Aperto nel
1958 da John Mitchell, il Gaslight ospitava di frequente poeti della beat
generation quali Allen Ginsberg e Gregory Corso ma in seguito divenne un club
di musica folk dalla frequentazione molto "bohémien". Il locale è celebre per essere stato uno dei
palcoscenici più importanti per la prima parte di carriera di Bob Dylan, di cui
oggi abbiamo una testimonianza ufficiale grazie alla pubblicazione del disco
Live at The Gaslight 1962 (2005).
Il Gaslight
non aveva niente di pretenzioso, non teneva tavoli speciali vicino al palco, ma
era sempre pieno di gente dall’inizio alla fine della serata. Era un locale
fatto con muri di mattoni nudi, con una luce molto bassa e le condutture a
vista. Anche durante le fredde sere d’inverno c’era la fila per entrare,
grappoli di persone che si stringevano nell’ingresso, una porta a due ante in
fondo alle scale. Dentro c’era così pieno che si faceva fatica a respirare. […]
La mia esibizione durava venti minuti. Suonavo le canzoni folk che sapevo fare
meglio e già che c’ero prestavo attenzione a quello che succedeva. Faceva molto
caldo e l’interno era troppo claustrofobico per rimanerci dopo aver suonato,
così gli artisti spesso si ritrovavano al piano di sopra. C’era sempre una
partita di carte in corso. Van Ronk, Paul Clayton, Luke Faust e Len Chandler
giocavano a poker senza fermarsi, per tutta la notte. Si poteva andare e
venire. Una volta Chandler mi disse: “Devi imparare a bluffare, se no non
giocherai mai bene e qualche volta devi farti scoprire che stai bluffando.
Questo ti aiuta quando avrai una mano vincente e vorrai che gli altri pensino
che stai bluffando.”
La musica
di Bob Dylan sta al bluff nel poker, come il cinema dei Coen mette in scena
opere verosimili, ma quasi mai autentiche. D’altronde esiste davvero il realismo
e la verità nell’arte?
Se è abituale
considerare il cinema come finzione, la musica per certi versi può conservare
elementi fondamentali e fondati di realismo. Lo stesso può valere per la narrativa o la poesia.
Henry Miller, scrittore newyorkese celebre per le sue sortite in Francia e in
Grecia scriveva in Black Spring: “Ciò che non è in mezzo alla strada è falso,
derivato. Vale a dire letteratura. La verità è che "l'uomo comune"
non si preoccupa dell'autenticità. Alla persona media non importa chi ha
scritto una canzone o diretto un film. “Loro” è la generalizzazione solitamente
inserita al posto di qualsiasi conoscenza filmica o musicale. Se una persona
crede nel messaggio della propria arte - anzi, se c'è un messaggio per
cominciare - generalmente non è la preoccupazione del tipo di persona che
Barton Fink ha affermato di amare o Llewyn Davis ha affermato di rappresentare.
L'uomo comune: l'autenticità è in vendita, solo che nessuno su questo mercato è
disposto ad acquistare. Non a caso il finale di Inside Llewyn Davis è un inno
alle anime condannate alla ricerca dell'autenticità. Llewyn merita di cantare
canzoni di sofferenza? E Ulisse Everett McGill? Qualcuno l'ha fatto? Sono solo
canzoni. Chiunque può scriverle e chiunque può cantarle, ma a nessuno importa
se l’interprete se le merita oppure no. A questo punto ci troviamo di fronte a
due strade, come dice nella poesia The Road Not Taken, Robert Frost. Frost come
Dylan? Può starci. Ma perché è così importante per chi si esibisce, scrive e canta
essere veri e autentici? È proprio questa l’architrave che sorregge il legame
tra il cinema dei Coen e il canzoniere di Bob Dylan. La ricerca
dell'autenticità in un panorama culturale generalmente indifferente. La
capacità di avere successo, alle proprie condizioni, comunicando ciò che si vuole,
quando e come si vuole. È un'impresa notevole ed è essenzialmente l'obiettivo che
nessuno dei protagonisti dei Coen riesce a raggiungere.
Inside Bob
“Llewyn Davis” Dylan
Bob Dylan canta
"Farewell" alla fine del film è, da un lato, un addio allo stile di
vita bohémien del poeta beat, del musicista jazz e del cantante folk, che
stanno per vedersi travolti dalla marea crescente di canzoni di protesta e
dalla British Invasion. Dall'altro, è un addio molto meta letterario allo
stesso Llewyn, e a tutti i personaggi dei film dei Coen come lui: ossessionati
dall'essere "reali" piuttosto che rimanere in vita o avere
effettivamente successo. È difficile camminare sul filo del rasoio e il tempo è
contro di te. O come dice la canzone: "Fuori, in lontananza, un puma ringhiò, due cavalieri si
stavano avvicinando e il vento cominciò ad ululare."
Dario Greco
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