Empire Burlesque, oggi (1985)
Empire Burlesque | Recensioni retrospettive | [2023]
Secondo le più accreditate classifiche il ventitreesimo lavoro in studio di Bob Dylan stenta a raggiungere la 25esima posizione, per ordine di importanza, in base al valore artistico dell'opera. In questa sede tentiamo di riaprire il discorso, sposando la tesi a favore delle qualità e dei contenuti musicali e testuali di Empire Burlesque. Naturalmente tali motivazioni saranno approfondite e discusse, all’interno di un discorso retrospettivo, e speriamo esauriente circa il valore dell’opera in sé.
Breve premessa
storica
Tra le motivazioni essenziali, ci tornano in mente artisti e band che hanno omaggiato e tratto ispirazione, da un Dylan orientato verso un suono contemporaneo, almeno per il momento in cui il disco venne rilasciato. Due nomi su tutti: John Martyn, Calexico and Iron & Wine, i quali hanno saputo catturare e restituire valore e grandezza a questo Empire Burlesque.
Correva l’anno 1985 e il rock cominciava ad assumere una dimensione storica di un certo rilievo. Per convenzione in molti stabiliscono che l’anno di nascita di questo genere musicale sia stato il 1952, ma nonostante questa data la vera esplosione non avverrà prima del 1953-1955. Tuttavia il sound in voga dell’epoca era pesantemente influenzato da elementi derivati dal Funky e dalla Disco. Non solo, dato che alla fine del decennio precedente, si erano imposti nuovi stili e schemi musicali quali il Punk Rock, la New Wave, l’Hip-Hop, denominato inizialmente RAP e tante altre derivazioni del pop, del jazz e della canzone popolare fino ad arrivare alla World Music. Ci sarebbe poi da includere l’Heavy Metal, che convenzionalmente è considerato un derivato dell’Hard Rock anni Settanta. Il termine venne introdotto già a partire dalla fine del decennio precedente. Fatta questa doverosa premessa, bisogna inquadrare la produzione musicale anni Ottanta di Bob Dylan.
Empire
Burlesque: il disco (che suona a tratti la DISCO)
Dopo un periodo di immersione Gospel e Blues-Rock, il cantautore americano torna alla sua forma più consona con Infidels, album pubblicato durante l'ottobre del 1983. Infidels viene prodotto da Mark Knopfler e vi partecipano musicisti di alto profilo come Mick Taylor, lo stesso Knopfler, Alan Clark, Sly Dunbar e Robbie Shakespeare. Il suono è fresco, nuovo, con contaminazioni caraibiche e una matrice da blues rock urbano, decisamente moderno. Qualcosa di nuovo e di differente dunque, rispetto al passato, che sia il pubblico che la critica accoglieranno con un ritrovato entusiasmo.
Venendo a Empire Burlesque, quello che suona oggi più bizzarro è come sia un disco che nonostante la pesante impostazione dei suoni, delle atmosfere e degli arrangiamenti, smaccatamente anni Ottanta, possa risultare, ascoltato nel 2023, come un prodotto fresco e in linea con cose come The War on Drugs, Kurt Vile, Mac De Marco, Tame Impala e The Killers. Ci sono qui momenti davvero superbi e divertenti, a partire dal singolo apripista (è proprio il caso di dire!) come Tight Connection to My Heart (Has Anybody Seen My Love), per continuare con brani notevoli in termini di melodie e di arrangiamenti come I’ll Remember You, Emotionally Yours, When the Night Comes Falling from the Sky e Clean Cut Kid. I meriti sono da dividere in parti uguali tra Bob Dylan, il produttore Arthur Baker e la band eclettica che ha accompagnato le sessioni di registrazioni. In un primo momento Dylan aveva pensato di reclutare anche dei membri della E Street Band di Springsteen, salvo poi scartarle in favore di altre incisioni realizzate con elementi dei Rolling Stones (Ron Wood) e degli Heartbreakers di Tom Petty. Vengono coinvolte anche vecchie conoscenze come Al Kooper e Jim Keltner, mentre figurano anche i musicisti che avevano partecipato al predecessore lavoro di studio, Infidels.
Per il critico
Don McLeese Empire Burlesque è un disco affascinante per il modo in cui ci
mostra il suo autore che prova a immaginare come dovrebbe essere un album di
Bob Dylan. Perfino un decano della critica come Robert Christgau scomodando un
capolavoro quale Blood on the Tracks sostiene che sia uno dei suoi migliori
lavori dagli anni Settanta in poi, affermando che nella migliore delle ipotesi
Dylan abbia raggiunto la professionalità da sempre rivendicata, componendo questo
nuovo gruppo di canzoni. Volendo però fare le pulci al lavoro, sarebbe corretto
evidenziare come più che un concept, ci troviamo di fronte a una raccolta di
brani messi assieme per dare una mano di lucido al suo autore. Non è per forza
una cosa negativa, anzi il contrario. Però è evidente come Dylan si trovasse in
difficoltà in quel momento, anche in termini di scrittura delle canzoni, la cosa
che probabilmente gli era fin qui riuscita meglio, in termini di carriera e di
storia personale. A rendere più evidente la distanza tra i brani più
sofisticati e meglio arrangiati e quelli più minimali, compare una canzone di
chiusura come Dark Eyes.
Case study: la conclusiva, splendida apologia di Dark Eyes
Dark Eyes è un meraviglioso pezzo degli anni Ottanta. Una canzone che parla di compassione per l'umanità, ispirata dal passaggio casuale di Bob di una giovane donna in un momento difficile nel corridoio di un hotel, presumibilmente una prostituta - abbattuta, con un bicchiere di vino rosso in mano, bisognosa di un altro drink. La canzone è vista dalla prospettiva di un narratore un po' distaccato, un osservatore appassionato e intuitivo che guarda dall'esterno - in questo mondo ma non di questo mondo. È un osservatore pieno di comprensione e amore disinteressato per l'umanità. È una compassione per coloro che vivono in un mondo che non perdona, un mondo che non vede o riconosce la bellezza o la creazione subliminale che li circonda. Gli occhi dei senza speranza sono tutto ciò che vede, quelli distratti dai bisogni e dai desideri disinteressati del mondo materiale che crea dipendenza, alla ricerca di una soluzione che non è affatto una soluzione. Il narratore vede chiaramente dall'esterno, qualcuno disposto a sacrificarsi, a portare via il nostro dolore, distaccato.
Tre dischi che ascoltati oggi, a distanza di oltre 35 anni, ci danno un ulteriore dimensione di cosa significhi essere Bob Dylan. Questa considerazione è attuale oggi, nel 2023, ma era attuale già nel 1990. Zero chiacchiere e molta carne al fuoco, dunque.
Appendice sui videoclip (1965-1985)
Dario Greco
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