Mapping Bob Dylan's Mind
AI generativa e l’analisi delle metafore, dei temi e degli stati emotivi nei testi di Dylan
Per sei decenni, Bob Dylan ha messo alla prova gli ascoltatori con canzoni che ricompensano l’interpretazione. Critici e fan hanno a lungo esaminato le sue parole, trattandole come testi letterari degni di una lettura lenta e devota, riga per riga, immagine per immagine. Nel 2016, Dylan ha persino vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Come ha affermato l’Accademia Svedese, il premio lo ha onorato per "aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana". Ma che altro potremmo scoprire se, invece di un ricercatore umano, chiedessimo a un’intelligenza artificiale di setacciare ogni parola che Dylan abbia mai scritto? Quali schemi, connessioni o evoluzioni nel vastissimo corpo dei testi di Dylan potrebbero rivelarsi all’analisi di una macchina, e che cosa potrebbe ciò dirci dell’uomo e della sua musica?
Queste domande non sono più così fantascientifiche come sembravano un tempo. I sistemi di IA di oggi, in particolare i grandi modelli linguistici (LLM) capaci di “leggere” e analizzare testi su larga scala, offrono nuovi modi per studiare arte e letteratura. Pensatelo come una forma di “lettura distante”, l’approccio promosso dallo studioso di letteratura Franco Moretti, che utilizza algoritmi per esaminare grandi collezioni di testi da una prospettiva di insieme. Un computer può macinare centinaia di canzoni e identificare schemi o temi che nessun lettore individuale potrebbe facilmente quantificare. Il vantaggio rispetto alla critica classica è una copertura vasta, una misurazione coerente e la capacità di tracciare i cambiamenti nel tempo.
I testi di Dylan ci invitano a tornare ripetutamente, ogni ascolto rivelando un nuovo significato o sfumatura. Il biopic A Complete Unknown (2024) ha rinnovato l’interesse del pubblico, ma le mie ragioni per un’analisi approfondita erano già sia personali che tecniche. La mia ricerca utilizza l’IA per tracciare messaggi culturali attraverso reti, e volevo verificare se gli stessi strumenti potessero illuminare anche l’opera di Dylan. L’analisi computazionale potrebbe misurare le qualità che rendono le canzoni di Dylan così risonanti – come nasce la complessità, come nuove immagini si mescolano alle familiari, come l’ambiguità si intreccia tra le canzoni?
Così ho inserito la discografia ufficiale di Dylan dal 1962 al 2012 in un grande modello linguistico (LLM), costruendo una rete dei concetti e delle connessioni presenti nelle sue canzoni. Il modello ha esaminato ogni testo, estraendo coppie di idee o immagini correlate. Per esempio, potrebbe rilevare una relazione tra “vento” e “risposta” in Blowin’ in the Wind (1962), o tra “giullare” e “ladro” in All Along the Watchtower (1967). Assemblando queste relazioni, possiamo costruire una rete che mostra come le parole chiave e i motivi di Dylan si intrecciano nelle sue canzoni.
Per costruire quella rete, ho fatto passare ogni canzone di Dylan attraverso un LLM, una alla volta. Il modello ha trattato ogni concetto notevole che incontrava (come “vento”, “risposta”, “giullare”, “ladro” e così via) come un nodo (le singole entità o concetti che emergono nei brani). Due nodi erano collegati da un arco, rappresentante la relazione tra loro. Per esempio, l’LLM ha disegnato un arco tra vento e risposta nella linea “The answer is blowin’ in the wind.” Ogni arco è stato poi categorizzato come letterale o metaforico, e il suo tono emotivo classificato come positivo, negativo o neutro.
Poiché il modello processa ogni riga in modo uniforme, ci consente di misurare (non solo di affermare) quanto spesso, dove e con quale carica emotiva due idee co-occorrono, qualcosa che nessuna analisi umana o lettura ravvicinata ha mai fatto su questa scala. Dopo oltre 500 canzoni, il processo ha prodotto circa 6.000 nodi unici collegati da circa 9.000 archi. La mappa risultante dall’alto mostra, per esempio, come una metafora in A Hard Rain’s a-Gonna Fall (1963) risuona con un riferimento successivo in Not Dark Yet (1997), o come un singolo nome biblico riappare, ma può essere collegato a un concetto diverso e con un diverso umore.
Il diagramma suggerisce la stupefacente varietà della canzone: Jokerman attinge a immagini di una “fornace infuocata” biblica, un piccolo cane fedele, il Libro del Levitico, un fuciliere e un predicatore in agguato, e innumerevoli altri dettagli. Questi risultati convalidano i collegamenti che i fan di Dylan di lunga data hanno osservato. I critici hanno spesso notato l’abilità di Dylan nel fondere il biblico con l’ordinario, inserendo con naturalezza un riferimento dell’Antico Testamento in una canzone che menziona anche equipaggiamento antisommossa moderno e uccelli tropicali.
Attraverso sei decenni, la scrittura di Dylan diventa più figurativa, le sue metafore affollano e sostituiscono il linguaggio diretto.
Allontanandoci da questa istantanea canzone per canzone, abbiamo costruito la stessa rete per ogni traccia dell’intero catalogo di Dylan, e poi fuso tutti i nodi e gli archi, decennio per decennio. Ogni arco – come quello che collega Jokerman a Michelangelo – segna un momento in cui un’idea lirica punta a un’altra. Abbiamo chiesto all’LLM di etichettare ciascuna connessione come letterale (per esempio, “the pump don’t work ’cause the vandals took the handles”) o metaforica (per esempio, “a hard rain’s a-gonna fall”).
La Figura 2 qui sotto rende i cambiamenti nel tempo inequivocabili: i testi di Dylan passano da un equilibrio quasi paritario tra espressione letterale e metaforica negli anni Sessanta, a un catalogo in cui la metafora prende progressivamente il sopravvento. Negli anni Sessanta, circa il 60 per cento degli archi è metaforico e il 40 per cento letterale. Negli anni Ottanta, la metafora supera i due terzi. Negli anni 2010, sale oltre il 75 per cento, lasciando le connessioni letterali a meno di un quarto. La tendenza è chiara: attraverso sei decenni, la scrittura di Dylan diventa più figurativa, le sue metafore affollano il linguaggio diretto. I critici avevano da tempo intuito che Dylan fosse diventato più obliquo, ma l’IA ci consente di quantificarlo: la quota di metafora cresce dell’1–2 per cento per album, un cambiamento troppo graduale per essere rilevato a occhio nudo.
Figura 2. La percentuale di archi (connessioni tra entità nei testi di Dylan) che sono metaforici aumenta costantemente; le affermazioni letterali diminuiscono attraverso sei decenni.
Perché questo è importante? La metafora è spesso il luogo in cui la verità emotiva di un artista emerge. È interessante notare che scopro che le espressioni metaforiche di Dylan tendono a portare un tono emotivo più negativo, in media, rispetto alle sue affermazioni letterali. Per esempio, quando Dylan canta “the emptiness is endless, cold as the clay”, da Mississippi (2001), o “evening’s empire has returned into sand”, da Mr Tambourine Man (1965), l’LLM etichetta queste come connessioni metaforiche e rileva che trasmettono malinconia o perdita. Al contrario, versi più letterali come “may God bless and keep you always”, una linea da Forever Young (1974), tendono a essere più positivi o neutri, secondo il modello.
L’espressione emotiva complessiva di Dylan si sposta man mano che la sua vita e la sua arte si sviluppano. Le sue canzoni di protesta dei primi anni Sessanta spesso mescolano rabbia contro l’ingiustizia con una corrente sotterranea di speranza; si consideri Blowin’ in the Wind, che mette in evidenza il dolore (“how many times must the cannonballs fly”) ma insiste anche che la risposta è ancora nel vento. A metà e fine degli anni Sessanta, i testi di Dylan in canzoni come All Along the Watchtower o Desolation Row (1965) diventano più surreali e cinici, riflettendo i tumulti dell’epoca con immagini di giullari e ladri e un mondo fuori asse. Negli anni Settanta, dopo un allontanamento dagli inni politici, Dylan scrive di più sulle relazioni personali. L’album Blood on the Tracks (1975) è malinconico, schietto, e intriso di metafore di clima e acqua per descrivere il dolore amoroso. Poi arrivò il periodo del “rinato” tra il 1979 e il 1981, che assume una letteralità urgente e da sermone riguardo salvezza e peccato (sebbene anche queste siano intrise di metafora biblica). Negli anni Novanta, l’opera di Dylan diventa più cupa e introspettiva, con capolavori lamentosi come Not Dark Yet. La fine degli anni Novanta vede un aumento di concetti legati alla mortalità e una prevalenza di parole a sentimento negativo (oscuro, freddo, fine, ecc.), corrispondenti all’età di Dylan e alla prospettiva riflessiva, talvolta cupa, di album come Time Out of Mind (1997). E tuttavia, fedele alla natura volatile di Dylan, gli anni 2000 presentano anche brani giocosi (vinse un Oscar per la pungente Things Have Changed nel 2000) e saghe storiche (i 14 minuti di Tempest nel 2012 raccontano l’affondamento del Titanic in dettagli vividi).
I commentatori spesso dividono la carriera di Dylan in epoche distinte: il giovane trovatore folk dei primi anni Sessanta, il poeta rock elettrico della metà degli anni Sessanta, il cantante country della fine degli anni Sessanta, l’autore introspettivo degli anni Settanta, il fervente predicatore gospel intorno al 1980, e il saggio riflessivo dagli anni Novanta in avanti.
A differenza delle epoche ordinate descritte dalla critica tradizionale, i grafici dell’IA qui sotto sono guidati dai dati: emergono da 9.000 connessioni tra concetti, non dalle mie preconcessioni. Tracciando schemi tematici attraverso queste fasi con l’aiuto di un LLM, scopriamo come le preoccupazioni mutevoli di Dylan si allineano con la sua età, le sue esperienze, e le più ampie correnti culturali del suo tempo.
Il tema della protesta/politica aumenta in modo drammatico negli anni Sessanta.
In definitiva, il modello trasforma il sentimento in linee temporali con picchi e avvallamenti. L’emozione nella musica di Dylan è sempre stata dinamica, non statica, e l’analisi del sentimento dell’LLM lo riflette, mostrando salite e cali nel sentimento medio delle canzoni che si allineano con i capitoli principali della vita di Dylan e della sua carriera di sei decenni (si veda la Figura 3 qui sotto).
Figura 3. Evoluzione dei temi nei testi di Dylan attraverso gli anni.
A metà degli anni Sessanta, i giornalisti salutavano Dylan come la voce di una generazione. Questa reputazione è confermata dai dati: il tema della protesta/politica aumenta in modo drammatico in quel decennio, spinto da canzoni iconiche come Masters of War (1963) e The Times They Are A-Changin’ (1963). Il tema della violenza, prevedibilmente, segue da vicino i disordini dell’epoca. Tuttavia, verso la fine del decennio, il passaggio di Dylan al rock elettrico e il suo allontanamento dal commento esplicito coincidono con un netto calo dell’immaginario di protesta. Al suo posto, i temi dell’amore/romanticismo e dell’emozione emergono in primo piano, rispecchiando sia la svolta interiore di Dylan sia uno spostamento culturale più ampio da movimenti collettivi a riflessione personale.
È di enorme aiuto osservare il corpus delle opere di Dylan, e le reti che generano, decennio per decennio. I diagrammi qui sotto mostrano i 50 nodi più prevalenti per ciascun decennio insieme agli archi tra di essi. Mentre osservi i diagrammi, ricorda che la dimensione del nodo riflette la connettività, e i colori indicano ampie tipologie di nodo, dall’astrazione alle persone individuali.
L’obiettivo è confrontare i cambiamenti nel tempo. La rete degli anni Sessanta (si veda la Figura 4 sotto) mostra la protesta e la cronaca come nodi principali, con un collage surreale intrecciato attraverso alcuni concetti ponte.
Nel frattempo, gli anni Settanta, come mostrato nel Diagramma 5 qui sotto, vedono Dylan completamente immerso in temi personali. Il declino delle immagini esplicitamente politiche e violente continua, coincidendo con il ritiro di Dylan dalla scena pubblica verso la vita familiare e la riflessione personale (sposò Sara Lownds nel 1965 e si stabilì a Woodstock).
I temi romantici ed emotivi raggiungono il loro picco a metà degli anni Settanta, particolarmente evidente nell’album Blood on the Tracks (1975), ampiamente interpretato come ispirato dai conflitti matrimoniali di Dylan, che produce classici intimi come “Tangled Up in Blue” e “Shelter from the Storm”. Anche le immagini della natura aumentano, riflettendo la svolta introspettiva di Dylan e il suo crescente uso di metafore pastorali e ambientali.
Il centro si spostò negli anni Settanta verso l’indirizzamento in seconda persona e i temi intimi.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, Dylan sperimenta un’inversione tematica drammatica. I temi della protesta e della violenza ritornano in modo prominente intorno al 1980, in linea con critiche politiche come “Union Sundown” (1983) e “Neighborhood Bully” (1983). Simultaneamente, l’immaginario mitico/biblico aumenta bruscamente mentre Dylan attraversa la sua fase evangelica cristiana altamente pubblicizzata, segnata da album come Slow Train Coming (1979) e Saved (1980). Durante questo periodo, i temi del movimento e del viaggio raggiungono il loro punto più basso, forse riflettendo il viaggio interiore e spirituale di Dylan piuttosto che un vagabondare verso l’esterno.
Il passaggio dall’amore e dall’introspezione emotiva verso preoccupazioni sociali e spirituali più ampie definisce questo periodo tumultuoso. Infatti, il centro si spostò negli anni Settanta verso l’indirizzamento in seconda persona e temi intimi (si veda il Diagramma 5 qui sotto).
Negli anni Ottanta, il vocabolario esplicitamente religioso diventa centrale e collegato direttamente al linguaggio geopolitico (si veda il Diagramma 6 qui sotto).
Diagramma di visualizzazione che mostra parole interconnesse in diversi colori che rappresentano categorie: astratto, emozione, oggetto, ecc.
Figura 5. Rete dei primi 50 concetti, anni Settanta: il centro di gravità si sposta verso l’indirizzamento in seconda persona e la vita privata. Un unico nodo attorno a “you” (tu) attira amore, vita, verità, luce, denaro e figure nominate come Sara; gruppi narrativi distinti (“Hurricane”, “Idiot Wind”, “Jack of Hearts”) si diramano da quel nodo. La topologia quantifica la svolta interiore del decennio: più connessioni convergono su termini di relazione e indirizzamento che su temi pubblici, un cambiamento che è facile non cogliere senza un macroscopio.
Diagramma di rete con cerchi colorati ed etichette che rappresentano concetti astratti, persone e luoghi.
Figura 6. Rete dei primi 50 concetti, anni Ottanta: il vocabolario religioso diventa strutturalmente centrale (Jesus, lord, covenant woman, resurrection, righteous king) e si collega direttamente a nodi mondani come licence to kill e neighborhood bully, e al cluster ricco di metafore di “Jokerman”. La rete mostra non due vocabolari separati ma un’unica maglia. Rivela anche che i termini religiosi agiscono come ponti piuttosto che come isole, collegando linguaggio morale e critica politica con alta intermediazione.
Gli anni Novanta vedono un altro cambiamento tematico, questa volta segnato dal ritorno di Dylan al ruolo di osservatore errante. I temi della protesta si ritirano nuovamente, mentre le immagini del viaggio e della natura rimbalzano. Questa rinascita è illustrata in brani come “Tryin’ to Get to Heaven” (1997) e “Highlands” (1997), dove movimento, percorsi e immagini naturali sono centrali. L’immaginario romantico rimane attenuato, continuando a diminuire rispetto all’intensità emotiva degli anni Settanta. Le canzoni sull’amore raggiungono il loro punto più basso mentre le narrazioni di Dylan assumono sempre più un tono distaccato e riflessivo, forse rispecchiando la sua fase personale di vita e l’introspezione culturale alla fine del millennio.
Entro gli anni Novanta, la rete si frammenta in piccoli cluster legati alla memoria e all’auto-esame.
Infine, dagli anni 2000 fino al 2012, Dylan entra in una fase definita da riflessione e complessità emotiva. Le immagini di amore e romanticismo aumentano sensibilmente fino ai livelli più alti, indicative di una apertura di fine carriera alla riflessione personale e alla sincerità emotiva, evidente in album come Modern Times (2006) e Together Through Life (2009). Allo stesso tempo, l’immaginario mitico insieme a temi come protesta e violenza svanisce, suggerendo un ridotto coinvolgimento con controversie esterne o fervore spirituale. Il movimento e il viaggio rimangono persistentemente alti: Dylan non ha mai smesso di muoversi, sia figurativamente che letteralmente (famosamente è in tour senza sosta dagli anni Ottanta con il suo Never Ending Tour).
Degno di nota, negli anni Novanta la rete si frammenta in cluster più piccoli legati a memoria e auto-scrutinio (si veda la Figura 7 qui sotto). Negli anni 2000, il centro si allenta nuovamente in un’Americana modulare, con favole e immagini storiche che informano la voce del narratore (si veda la Figura 8 qui sotto).
Immagine di una mappa concettuale con parole interconnesse e nodi codificati a colori che rappresentano tipi di relazione concettuale.
Figura 7. Rete dei primi 50 concetti, anni Novanta: la rete si frammenta in moduli più piccoli legati a temi interiori: auto-inganno, incertezza, fantasma del nostro vecchio amore, marcatori temporali today/yesterday, e immagini di lunghe camminate da “Highlands”.
La perdita di un unico nodo centrale di indirizzamento e l’ascesa di nodi legati a tempo e memoria quantificano la svolta introspettiva del decennio e aiutano a spiegare perché il sentimento dei bordi metaforici tende qui a tonalità più oscure.
Immagine di un diagramma a bolle che mostra relazioni tra parole, colorate per categorie come astratto, emozione e persona.
Figura 8. Rete dei primi 50 concetti, 2000-12: la struttura si stabilizza in un’Americana modulare.
Cluster come Tweedle Dum and Tweedle Dee, High Water, e un nodo generale del narratore si trovano accanto ad archetipi (ladro, capitano, poor boy) e tag filosofici (noble truth). La rete mostra un ritorno al collage, ma con una centralità più allentata rispetto al nodo di indirizzamento degli anni Settanta, e motivi più stretti rispetto alla dispersione degli anni Sessanta, cosa che è facile non notare senza una misura coerente sull’intero decennio.Un tema cresce costantemente nel corso dell’intero arco: il tempo. La sua ascesa persistente attraverso i decenni si allinea intuitivamente con l’invecchiamento di Dylan e la sua crescente preoccupazione per l’eredità e il passare degli anni.
Ciò che colpisce è come le maree tematiche di Dylan rispecchino sia le fasi della sua vita sia più ampi cambiamenti culturali: la Guerra Fredda e i tumulti dei diritti civili dei primi anni Sessanta, la svolta interiore verso soggetti domestici e romantici nella metà degli anni Settanta, l’impennata dell’immaginario evangelico intorno al 1980, e il tono riflessivo e orientato all’eredità degli anni Novanta.
Alla base di tutti questi schemi c’è quella qualità duratura dell’arte di Dylan: la reinvenzione. Non rimane mai lo stesso. La frase “a complete unknown” – tratta dalla canzone Like a Rolling Stone (1965), e titolo del biopic del 2024 – è un epitaffio appropriato per un artista imprevedibile come lui. A metà del 1965, l’artista folk emergente che aveva definito la musica di protesta al Newport Folk Festival scioccò i puristi del folk salendo sul palco con una band elettrica. Pochi anni dopo, proprio quando molti si aspettavano un altro disco rock, sorprese di nuovo i fan con Nashville Skyline (1969), un dolce album country. Alla fine degli anni Settanta, passò da poeta laico a cristiano rinato, solo per tornare verso il rock, il blues e flirtare con l’hip-hop alla fine degli anni Ottanta. Ogni transizione provocò proteste da parte di alcuni fan e critici, e tuttavia Dylan è sempre andato avanti.
Nel suo saggio On Bob Dylan (2022), il giurista Cass Sunstein descrive questa continua mutevolezza come “disabituazione”: l’interruzione deliberata delle aspettative che mantiene il pubblico sveglio e attento a ciò che accadrà dopo. Poiché stimoli imprevedibili innescano il rilascio di dopamina, questo pagamento neurochimico può spiegare perché le fasi più selvagge di Dylan rimangono così addictive.
Sunstein indica le espressioni di Dylan di gioia per ciò che è stravagante, o come Dylan stesso lo dice, le sue “canzoni su rose che crescono dal cervello delle persone e amanti che sono in realtà oche e cigni che si trasformano in angeli”. Dylan, nota Sunstein, deride ciò che è “meccanico o routinario” e rifiuta di applaudire in maniera doverosa agli slogan di protesta. Quell’irriverenza, sostiene Sunstein, spiega tutto: dal rifiuto di Dylan di diventare la mascotte di un movimento degli anni Sessanta fino all’esaltazione senza radici di Like a Rolling Stone.
I dati supportano questa interpretazione. Si pensi alla rete di nodi come alla mappa della metropolitana della mente di Dylan: con stazioni di Grand Central chiamate Love, Time, God al centro; e fermate di linea secondaria chiamate Nightingale o Fiery Furnace ai margini. Nella teoria delle reti, il traffico attorno a ciascuna stazione (un nodo) è chiamato la sua centralità: più connessioni un nodo ha con altri nodi, più è “centrale”.
La varianza raggiunge un picco negli anni Ottanta, quando Dylan saltava dal gospel rock al folk revival al pop con sintetizzatori.
Ora si immagini di misurare quanto una canzone vaga tra le sue idee centrali. Se l’immaginario ruota solo attorno a pochi hub familiari, la varianza è bassa. Se balza inaspettatamente tra il comune e il raro, la varianza è alta. Tale ampiezza funge da approssimativo “indice di disabituazione”: alta varianza significa che Dylan ci scuote con un mash-up di familiare e imprevisto, mentre bassa varianza significa che si muove in un territorio già percorso. Misure simili di variazione sono state persino utilizzate per catturare l’elemento di sorpresa negli assoli jazz, suggerendo un ponte tra gli esperimenti lirici di Dylan e l’improvvisazione musicale.
Tracciato decennio per decennio (si veda la Figura 9 qui sotto), l’indice di varianza raggiunge un picco negli anni Ottanta, precisamente quando Dylan passava dal gospel rock al folk revival al pop intriso di sintetizzatori.
Dopo di ciò, scivola verso il basso, puntando alla voce più unificata che emerge in album come Time Out of Mind (1997) e successivi. Dopo il 1997, si stabilizza – non domata, ma temperata – l’improvvisatore che cresce entrando nel proprio ritmo.
Quantificare l’imprevedibilità può sembrare paradossale, ma il risultato offre la prima conferma numerica di qualcosa che i fan intuiscono da tempo: l’appetito di Dylan per la sorpresa raggiunse i suoi vertici più selvaggi negli anni Ottanta, poi si stabilizzò gradualmente in una maturità esperta ma ancora irrequieta. Da tempo i musicologi definiscono gli anni Ottanta come il decennio più bizzarro di Dylan; l’indice di disabituazione è la prima prova numerica.
Gli scettici potrebbero chiedersi: abbiamo davvero bisogno di un’IA per dirci che Dylan ha scritto canzoni di protesta negli anni Sessanta, canzoni gospel negli anni Ottanta e lamenti introspettivi negli anni Novanta? A un certo livello, no. Ma come sostengono gli storici Jo Guldi e David Armitage in The History Manifesto (2017), l’evidenza quantitativa e la visualizzazione permettono agli storici di mettere alla prova la saggezza ricevuta e di partecipare al dibattito pubblico con argomentazioni che circolano oltre l’accademia, aiutando ad arbitrare tra falsità, mito e rumore.
Il valore risiede nel dettaglio e nella conferma. Il modello può individuare esattamente quali nomi biblici aumentano nel periodo gospel, quante volte “rain” ricorre in sei decenni, o come l’immaginario dei treni torni ad emergere nei dischi di Dylan del XXI secolo. Mostra, ad esempio, che le linee etichettate come amore/romanticismo diventano più ambivalenti nel tono emotivo con l’età, quantificando un passaggio dall’idealismo giovanile alla complessità matura. Questi segnali empirici non sostituiscono l’interpretazione umana; accendono nuove domande. Perché le metafore di Dylan si sono moltiplicate così bruscamente? Si trattava di una strategia artistica, dell’influenza dell’età, o semplicemente della cultura dell’era MTV che spingeva i testi verso l’astrazione?
Le svolte personali di Dylan rispecchiano spesso correnti culturali più ampie: le sue canzoni di protesta riecheggiano l’epoca dei diritti civili; la fase gospel coincide con un risveglio religioso di portata nazionale; le meditazioni della fine della carriera riflettono una generazione che si confronta con l’eredità. Questa osservazione, che di solito comprendiamo in modo aneddotico, diventa più chiara quando visualizziamo le tendenze liriche attraverso i decenni. Gli studiosi di digital humanities come Ted Underwood avvertono che i dati non sostituiscono mai la lettura ravvicinata, ma possono offrire un “macroscopio”, riformulando opere familiari in modi sorprendenti e illuminanti.
Naturalmente, nessun algoritmo può dirci perché Like a Rolling Stone ci dà ancora i brividi, o decifrare l’ambiguità morale di “to live outside the law you must be honest”. Più criticamente, gli scettici ricordano che i large language model possono comportarsi come semplici “pappagalli stocastici”, che echeggiano schemi superficiali senza reale comprensione. Tuttavia, quando vengono utilizzati come lente piuttosto che come oracolo, questi stessi modelli possono scuotere persino i critici più esperti fuori dalle routine interpretative e rivelare temi che potrebbero essere stati mancati. Lungi dal ridurre Dylan a numeri, questo approccio mette in evidenza quanto sia intenzionalmente intricato il suo songwriting: una mente irrequieta che ritorna su certe immagini ancora e ancora, ricombinandole in mosaici sempre nuovi. In breve, l’IA ci permette di mettere alla prova il folklore su Dylan, separando le teorie che i dati confermano da quelle che essi smentiscono silenziosamente.
Dylan approverebbe? Probabilmente con un sorriso ironico. La sua carriera insegna, soprattutto, il valore delle nuove prospettive. Ogni reinvenzione costringe gli ascoltatori a lasciare andare le proprie supposizioni e ad ascoltare con orecchie nuove. Poche opere ricompensano tale doppia visione più della sua. L’analisi automatica non può toccare la risonanza emotiva delle canzoni, ma può tracciarne l’architettura mutevole – ricordandoci che, nonostante le rivelazioni, il potere culturale di Dylan risiede nel rimanere, ancora oggi, un completo sconosciuto.

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